Le riforme istituzionali, ludopatia compulsiva degli aspiranti ometti della Provvidenza

di Giulio Ercolessi


Una delle più perniciose ludopatie da cui è affetta la classe politica italiana consiste nel baloccarsi del tutto irresponsabilmente con le riforme istituzionali. Ai suoi occhi queste hanno un duplice visibile vantaggio.

Da un lato, presentarsi come abili artefici, attraverso arcane alchimie del tutto incomprensibili ai più, di decisive e miracolose “semplificazioni” o “razionalizzazioni” delle architetture istituzionali, immancabilmente in grado di conferire loro maggiore efficienza, e, naturalmente, di restituire agli elettori un vero “potere di decisione” costituisce un vantaggio propagandistico e un diversivo privo di controindicazioni.

D’altra parte, e a differenza di ogni riforma di carattere economico, sociale o amministrativo, le riforme istituzionali dei “rami alti” dell’ordinamento non toccano gli interessi e le tasche di nessuna categoria di elettori e di nessuna preziosa clientela; e, a differenza anche delle riforme civili senza spese, nessuna lobby influente si indigna o pone ricatti. Al massimo ci può andare di mezzo qualche segmento marginale della stessa classe politica, quelli che un tempo venivano definiti giornalisticamente i peones. Quei subordinati, cioè, che sono sopportabili finché totalmente fedeli e obbedienti ai volubili voleri della dozzina di oligarchi che, tramontati i partiti, decide ormai tutto nella politica italiana, ma che agli occhi degli stessi oligarchi sono per lo più sono soltanto fastidiosi e inutili postulanti, e in qualche raro caso perfino potenziali concorrenti. In particolare “tagliare le careghe” ha solo vantaggi pratici e reputazionali, anche se concorre solo a rendere la politica ancor più oligarchica, con risparmi ridicoli.

Non a caso la riforma costituzionale sul “taglio dei parlamentari” (formula che, rimpiazzando la mediazione lessicale delle careghe, sembrava quasi auspicare uno smembramento fisico dei peones, e che forse anche per questo toccava corde profonde fra gli elettori) è stata la sola ad essere approvata in un referendum. Su questioni più complesse la cosa non ha funzionato. Tanto nel 2006 come nel 2016 le controriforme costituzionali della destra e di Renzi erano state concepite sull’onda dei rispettivi successi elettorali e godevano del sostegno dei sondaggi, ma il sostegno dipendeva in entrambi i casi soltanto dalla momentanea fiducia ispirata dall’apparente novità costituita dai proponenti più che delle proposte.

La Costituzione italiana è, a differenza di quel che la classe politica quasi tutt’intera blatera da anni, tutt’altro che molto rigida, anzi, rispetto alle altre costituzioni occidentali scritte, è una delle più morbide se non la più morbida. La sola vera garanzia è costituita dalla durata relativamente lunga del procedimento di revisione. La politica conta sul fatto che i cittadini elettori, nella loro stragrande maggioranza, di riforme costituzionali non capiscono assolutamente nulla, il che è verissimo. Però quando si giunge al referendum costituzionale, che in genere non può intervenire prima che gli elettori si siano già stufati dei nuovi governanti, la fiducia nei proponenti è facile che sia svanita e gli elettori, fortunatamente, non sostengono più le loro proposte, che, in sé, permangono ai loro occhi incomprensibili come prima.

Del resto, dopo trent’anni di diseducazione civica quotidiana, pervasiva e di massa, gli stessi proponenti si dimostrano in genere del tutto ignari delle conseguenze sistemiche di quel che propongono. Di solito i virtuali esiti autoritari delle loro pensate non sono per nulla consapevolmente perseguiti, ma sono soltanto un effetto inintenzionale della loro assoluta insipienza. Quando si baloccano con le regole istituzionali da perfetti irresponsabili, i nostri politicanti sono come bimbi che, senza la minima consapevolezza di quel che stanno facendo, giocano al “Piccolo chimico” con sostanze velenose o esplosivi.

Se i tempi lunghi del procedimento di revisione ci hanno fin qui risparmiato l’entrata in vigore di cervellotiche e rovinose controriforme costituzionali, è stato più facile, trattandosi purtroppo di mere leggi ordinarie, tentare di manipolare a proprio vantaggio le leggi elettorali. Ed è purtroppo vero che, in tal modo, si può anche incidere profondamente sulle garanzie costituzionali, dato che i (bassissimi) quorum di garanzia previsti in Costituzione furono introdotti sulla base del presupposto tacito, ma all’epoca della Costituente universalmente condiviso, secondo cui le leggi elettorali per l’elezione delle Camere sarebbero state proporzionali. Con leggi elettorali fortemente maggioritarie, superare tutti i quorum, per qualunque transeunte maggioranza di legislatura, può essere assai più agevole, con conseguente correlativo indebolimento delle garanzie delle libertà costituzionali a fronte di possibili prevaricazioni da parte delle imprevedibili maggioranze future. Ma, al momento della prima modifica del sistema elettorale – al momento cioè del passaggio alla cosiddetta “seconda repubblica” – nessuno pose seriamente il problema della necessaria preliminare elevazione dei quorum e del loro rapporto con leggi elettorali non più proporzionali.

Ovviamente lo scopo principale di chi ha al momento la maggioranza è sempre e semplicemente quello di regalarsi condizioni di vantaggio sugli avversari, o – anche più spesso, perché è più facile raggiungere il risultato ­– di garantire insieme se stessi e gli avversari da fastidiosi potenziali concorrenti. In genere però i decisori politici, insipienti quanto i loro elettori, non sono neppure in grado di prevedere se quel che fanno sarà davvero vantaggioso per loro stessi. Ne fu un esempio la mirabolante metamorfosi in corso d’opera del cosiddetto Italicum, la geniale riforma elettorale di Renzi, in seguito per larga parte dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. La versione iniziale, concordata al Nazareno fra Berlusconi e Renzi assieme alla seconda tentata controriforma costituzionale, prevedeva una soglia d’accesso del 5 % per le liste partecipi di una coalizione (vulgo, alleate o di Renzi o di Berlusconi), e la grottesca soglia dell’8 % per le liste che avessero concorso alle elezioni da sole. Soglie del genere non esistono in Europa, se si escludono la Turchia (10 %: è per questo che per lungo tempo ai poveri elettori turchi non è stata data altra scelta che quella fra il partito degli islamisti liberisti e quello dei militari laici), l’Azerbaigian (8 %) e la Russia (7 %). Neppure una previsione del genere suscitava scandalo, in un paese che da anni ritiene che le minoranze, anche relativamente cospicue, non potendo da sole formare un governo, siano soltanto inutili e dannose, e meritino solo di essere schiacciate. E che un diritto alla rappresentanza politica degli elettori non esista, ma vada lasciato al totale arbitrio e capriccio dei “capi” delle formazioni maggiori. Nessuna chance per gli outsider, se non per quelli che venissero catapultati in Parlamento da improvvise e imprevedibili esplosioni di rabbia popolare ben pilotate da ciarlatani carismatici. Cioè le sole in grado di superare d’emblée una soglia dell’8: e solo perché quelle non è proprio possibile tenerle fuori con espedienti tecnici.

Rafforzatasi successivamente la posizione di Renzi rispetto a quella di Berlusconi, e precipitata Forza Italia nei sondaggi, Renzi cambiava totalmente registro. Sentendosi più forte, decideva che il premio di maggioranza non sarebbe più stato conferito alla coalizione, bensì alla lista prima classificata. Questo semplicemente perché il PD risultava nei sondaggi dell’epoca molto più forte di FI, ma la capacità coalizionale di Berlusconi era superiore a quella del PD. E, a quel punto, conveniva a Renzi favorire la partecipazione autonoma degli alleati potenziali di Berlusconi, anziché spingerli indirettamente a entrare nella sua lista. Così, solo per questo, dall’8 % iniziale, la soglia d’accesso prevista dall’Italicum, per convenienza esclusiva del partito di Renzi, precipitava improvvisamente al 3.

A giovarsi delle riforme elettorali renziane/tafazziane – o di quel che ne sopravvisse alle dichiarazioni di incostituzionalità – fu poi la destra, come capita sempre quando i politicanti momentaneamente favoriti dai sondaggi si illudono che sarà così sempre, o almeno fino alle elezioni successive, e si vedono già salvatori e rifondatori della patria, predestinati nuovi ometti (o donnine) della Provvidenza.

Peggio ancora avevano fatto i suoi predecessori. Alla fine del 2005, alla vigilia stessa della campagna elettorale, la maggioranza berlusconiana uscente impose scelleratamente, da sola, una nuova legge elettorale, pubblicamente e testualmente definita “una porcata” dal suo stesso ideatore Calderoli, ed espressamente pensata all’esclusivo scopo di avvelenare i pozzi e creare ingovernabilità ai danni della coalizione avversa che i sondaggi davano per largamente vincente. Così venne abrogato il precedente Mattarellum, la legge elettorale concepita, nel passaggio dalla cosiddetta “prima repubblica” all’infausta “seconda”, dal costituzionalista in seguito eletto Presidente della Repubblica e tuttora in carica: l’ultima legge che aveva riscosso, come dovrebbe essere proprio di tutte le regole fondamentali del funzionamento delle istituzioni, l’approvazione di larga parte del Parlamento e che, nonostante dettagli e cervellotiche manipolazioni apportate in corso di discussione, aveva dato relativamente buona prova, assicurando al tempo stesso una certa stabilità (nella non decisiva misura in cui questa può essere assicurata da una legge elettorale o da qualunque riforma istituzionale) e una relativamente decente rappresentatività del Parlamento. Non un’ottima legge elettorale, di certo, ma oggi può ben apparirlo retrospettivamente, se paragonata all’assoluta indecenza di quel che ne è seguito.

Introdotta così dai berlusconidi, l’idea che non ci fosse nulla di male a ritagliarsi una legge elettorale di favore, sulla base degli ultimi sondaggi e a giochi elettorali già in corso, è divenuta moneta corrente della primitiva classe politica italiana riprodottasi in questi anni tristi.

La pratica, sconosciuta alle democrazie consolidate, fu censurata da una decisione della Corte europea di Strasburgo nel 2012, per condannare una modifica della legge elettorale bulgara che, a ridosso dalle elezioni, intendeva danneggiare alcune forze politiche a vantaggio della maggioranza uscente. La Bulgaria dovette adeguarsi, mentre la classe politica italiana si è ben guardata dall’allinearsi alla giurisprudenza della CEDU.

Di qui uno dei più significativi casi di riscrittura consensuale delle regole del gioco operato in questi anni da “centrodestra” e “centrosinistra” uniti, un’operazione probabilmente passata del tutto inosservata agli occhi dei non addetti ai lavori: nel 2009 il PD, all’epoca guidato da Veltroni, si prestò, senza che vi fosse di mezzo alcun possibile pretesto da accampare in difesa di una qualunque stabilità governativa, a spazzar via ogni ipotetica concorrenza presente e futura, impedendo la sopravvivenza o la nascita di terzi incomodi perfino a livello europeo, con una modifica della legge elettorale europea, senza vergogna proposta dai berlusconidi proprio a ridosso delle elezioni, in pratica a giochi già in corso, che introduceva una soglia del 4 %. Nessuna giustificazione: solo la volontà di garantirsi coattivamente per legge, e di spartirsi, una rendita elettorale artificiosa grazie all’annientamento a tavolino di ogni possibile concorrenza. In nome della “vocazione maggioritaria” del PD e del PdL o di quel che lo avrebbe sostituito, che però non ha mai corrisposto neppure a quella degli elettori italiani, che in sempre maggior numero ingrossano le fila degli astensionisti, ormai da tempo non più soltanto per disinteresse o mancanza di impegno civile, ma in misura crescente anche per il disgusto che provoca in molti l’offerta politica che passa il convento.

In queste settimane si riparla di una possibile nuova modifica della legge elettorale europea, anche in questa occasione ormai a ridosso delle elezioni, dato che la maggioranza meloniana vuole assicurarsi la sopravvivenza di Forza Italia dopo la scomparsa di Berlusconi, necessaria per agevolare un’eventuale modifica degli equilibri interni alle istituzioni europee, sulla falsariga italiana, con un accordo fra il PPE, le destre sovraniste nazionalconservatrici ed eventualmente anche i populisti apertamente antieuropei. Si teme che, dopo i buoni sondaggi seguiti alla trionfale santificazione dell’illustre scomparso, con il passar dei mesi FI possa pian piano dissolversi o implodere. Si ipotizza, quindi, un abbassamento, se non un’abolizione, della soglia elettorale introdotta nel 2009.

Si andrà avanti probabilmente fino al momento della presentazione delle liste, con un triplice vantaggio: verificare se davvero convenga sulla base degli ultimi sondaggi, ricattare fino all’ultimo gli “amici” mantenendoli nell’incertezza sulla loro possibilità di sopravvivenza in modo da assicurarsi il loro preventivo sostegno al disegno di nuove maggioranze nel Parlamento Europeo, e impedire anche agli avversari di fare le proprie scelte a ragion veduta, dato che anche le forze minori del centrosinistra navigano nei sondaggi al limite della soglia minima attualmente vigente.

Nessuno, che io sappia, ha invece posto quello che è il maggior problema della legge elettorale europea in Italia (sia prima sia dopo l’introduzione della soglia): prevedere il voto di preferenza in circoscrizioni così vaste significa restringere la possibilità di reale partecipazione ai soli candidati in grado di spendere individualmente cifre ingentissime, con conseguente elevata probabilità di ricorso a fonti di finanziamento illecite, corruttive, o almeno fortemente condizionanti. Gli oligarchi che si sono sostituiti ai vecchi partiti non hanno ovviamente il minimo interesse a risolvere il problema.

In ogni caso, la legge elettorale italiana per le elezioni europee vigente fino al 2009 era la sola legge elettorale realmente proporzionale mai esistita nella storia della Repubblica. Infatti, a differenza di quel che normalmente si pensa e si scrive, neppure il sistema elettorale vigente fino al 1993 per le elezioni politiche, neppure quello per la Camera, era perfettamente proporzionale. Vigente tale sistema, ciascun deputato eletto del partito più piccolo poteva arrivare a costare fino a circa il doppio dei voti necessari a eleggere ciascun eletto del partito più grande. Per ottenere la maggioranza assoluta degli eletti, un partito o una coalizione di partiti non doveva necessariamente raggiungere la maggioranza assoluta degli elettori votanti.

Un normale sistema elettorale deve rispondere a due opposte esigenze: garantire da una parte la rappresentatività dell’elettorato, e dall’altra produrre un sistema politico per quanto possibile affidabile, o, come si dice, relativamente “stabile”. Non così “stabile”, peraltro, da consentire a una maggioranza di legislatura di impadronirsi degli organi di garanzia, perché questo farebbe regredire di fatto il paese interessato allo stato in cui si trovava l’Italia dei tempi dello Statuto Albertino, quando ogni maggioranza di passaggio poteva, come effettivamente accadde nel tempo fascista, sovvertire con legge ordinaria le garanzie statutarie. Per raggiungere oggi in Italia un identico risultato sarebbe di fatto sufficiente, a Costituzione vigente, che la maggioranza di legislatura potesse nominare da sola la maggioranza dei giudici costituzionali, selezionandoli fra devoti militanti di partito (devoti, per meglio dire, agli oligarchi che vi si sono sostituiti). E questo sarebbe stato infatti l’esito possibile, neppure perseguito dagli sprovveduti proponenti, sia della controriforma berlusconian-leghista del 2006 sia di quella renziana del 2016. Ma sarebbe anche l’esito di una semplice legge elettorale (quindi ordinaria) accentuatamente maggioritaria. Orbán docet.

Solo l’esigenza della “stabilità” giustifica le limitazioni della piena rappresentatività del corpo elettorale, che ovviamente a sua volta può essere garantita in modo pieno e pedissequo solo dalla proporzionale pura.

Ma che senso può avere porre un problema di “stabilità” se e finché il Parlamento Europeo è (purtroppo) eletto su base nazionale e vi sono quindi rappresentati più di cento partiti nazionali? Che senso ha in una situazione del genere introdurre e giustificare una qualunque soglia?

La risposta è semplice: non ha alcun senso, la sua sola ragione è la prepotenza delle maggioranze (la “tirannide della maggioranza”, direbbero i classici del liberalismo).

E infatti il Tribunale Costituzionale Federale tedesco ha dichiarato illegittima la soglia elettorale prevista per le elezioni europee, mentre una soglia è invece sempre stata ritenuta costituzionale per le elezioni politiche interne, proprio perché lì le esigenze di rappresentatività possono anche essere ragionevolmente bilanciate da quelle di stabilità e governabilità.

Se la legge elettorale europea sarà cambiata in Italia prima delle prossime elezioni, lo sarà, come si è visto, per pessime ragioni. Ma, al di là delle sue motivazioni, la cancellazione della prepotenza bipartisan di Berlusconi e Veltroni del 2009 sarebbe più che dovuta per rendere il processo elettorale europeo libero e fair in Italia. Così come sarebbe altrettanto dovuta la cancellazione, per le elezioni politiche interne, delle prepotenze degli uni e degli altri che portarono alla sostituzione del Mattarellum con leggi elettorali dettate di volta in volta solo dall’interesse della maggioranza parlamentare del momento.

Non perché la vecchia proporzionale europea o il Mattarellum debbano essere considerati il meglio del meglio, così come la Costituzione vigente non sarà “la più bella del mondo” (come è solita dire tanta gente che non la conosce, e che tanto meno conosce le altre, per poter abbozzare un confronto). Ma perché quel che una classe politica di qualità infima ha prodotto o architettato successivamente è stato tutto o quasi tutto, e senza rilevanti eccezioni, sostanzialmente repellente.

Chiunque abbia a cuore la salvaguardia delle fondamentali libertà costituzionali e delle regole elementari della democrazia liberale – qualunque modello ideale di riforma costituzionale possa avere in mente – dovrebbe opporsi all’apertura di un cantiere costituzionale destinato a finire nelle mani della classe politica che l’Italia oggi si ritrova (e degli elettori che se la scelgono e confermano ormai da decenni).

Luglio 2023

Una parte di questo intervento, relativa alle prospettate modifiche alla legge elettorale europea, è stata pubblicata sul giornale on line Tutti Europa 2030.

 

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