Primo forum di Critica liberale

Roma, Sala delle Colonne della Camera dei Deputati, 5 ottobre 2001

 

 Il valore della libertà.

Una fondazione per una presenza liberale nella sinistra italiana.

 


Relazione introduttiva di Giulio Ercolessi, pubblicata con il titolo “La sinistra diventi liberale”, nel numero 74, Ottobre 2001, di Critica liberale.



Dieci anni fa c’era chi sperava e chi temeva che il liberalismo fosse destinato a diventare “pensiero unico” nel mondo intero. Noi speravamo che almeno in Occidente questo potesse essere vero, che anche in Italia si potesse affermare un sistema politico “normale”: fondato, al di là delle denominazioni formali, sull’alternanza e sullo scontro fra uno schieramento liberale di sinistra e uno schieramento liberale di destra. Questo non è accaduto. Si è ampliata nel mondo l’area dei paesi non governati da tirannie, ma siamo ben lontani dall’affermarsi di quel “pensiero unico” liberale così temuto da tanti nostri concittadini. In Italia abbiamo assistito ad un’evoluzione paradossalmente inversa, proprio quando non solo il capo di questa destra, ma anche molti all’interno della sinistra, si scoprivano improvvisamente liberali.

Meno di dieci anni fa, immediatamente prima o dopo quel congresso di Fiuggi che avrebbe dovuto emendare la destra italiana dal suo passato fascista, l’attuale Vicepresidente del Consiglio Fini dichiarava di preferire un’Italia «tuffata nel Mediterraneo piuttosto che agganciata alla locomotiva tedesca». Oggi quell’obiettivo è raggiunto. Se Berlusconi sente il dovere di affermare, confusamente, come sa e può, la sua identità occidentale, è anche perché perfino lui forse avverte che quell’identità nella sua maggioranza è precaria, incerta, “tuffata” piuttosto in quel mare politicamente disgraziato che è stato per gran parte del XX secolo il Mediterraneo.

Se il liberalismo è la teoria e la prassi della massimizzazione possibile delle libertà individuali che si persegue attraverso lo strumento della limitazione dei poteri, nulla ne è più lontano del sistema di potere politico, economico e mediatico che l’attuale gruppo dirigente del paese sta costruendo, con intenti egemonici che si rivolgono anche a quella parte della cultura italiana che ancora non si è adeguata. Nulla è più lontano dal liberalismo del consenso democratico-plebiscitario che spiana e azzera freni e contrappesi, garanzie, regole e controlli, e con essi i filtri e gli anticorpi presenti nella cultura, nella società civile e nella classe dirigente, tipici delle società aperte, e considerati nell’Italia di oggi ostacoli al libero dispiegarsi della volontà popolare. I classici della democrazia liberale la chiamavano “tirannide della maggioranza”, una tirannia “soffice”, non fascista ma “paterna”.

Ma abbiamo anche assistito, nel silenzio indifferente o sbigottito dei più, alla relativizzazione del giudizio sul fascismo storico: la cultura fascista rivalutata, le scelte di chi si pose dalla parte del nazifascismo nella sua guerra contro l’Occidente liberale poste su un piano di assoluta parità di valore rispetto a quelle di chi scelse il fronte opposto. Questo non ha niente a che fare con quel che si intende per destra nel resto dell’Europa occidentale. La nostra non è una destra normale: per troppi anni “destra” è stato in Italia sinonimo di fascismo o di qualche forma attenuata di fascismo e “sinistra” sinonimo di comunismo o di qualche forma attenuata di comunismo, per capire che le altre destre occidentali, i repubblicani americani, i conservatori inglesi, i gollisti francesi, sono eredi dei capi della guerra al fascismo.

Questa destra impresentabile, che una sinistra di tradizione comunista ha legittimato con l’intento di autolegittimarsi, è una palla al piede non solo finché è al governo, ma lo sarà anche dopo, se continuerà a essere questa l’alternativa di governo a un’ipotetica rimonta della sinistra in un futuro prossimo o remoto. Se L’Europa si è impegnata da decenni in un processo di unificazione e integrazione con la Germania, è per la fiducia che, quale che sia la maggioranza che si darà la Germania nel prevedibile futuro, non sarà comunque qualcosa che avrà a che fare con il suo passato totalitario. Questa destra rende l’Italia strutturalmente inaffidabile.

Berlusconi ha pugnalato l’Occidente alle spalle mentre tutti i nostri alleati trattavano per costituire una coalizione con i paesi islamici disposti a combattere il fondamentalismo terrorista. Le sue dichiarazioni (ben altro che “una parola” fuori contesto) sono state trasmesse per intero, a lungo, con l’originale in sottofondo e la traduzione in primo piano, da tutte le televisioni del mondo. A parte la vigliaccheria di difendersi attribuendo ai propri avversari un inesistente travisamento del suo pensiero, non si è trattato solo della dimostrazione dell’inadeguatezza di un dilettante allo sbaraglio nei panni incongrui dello statista. Non ripeteremo, come è stato detto da tanti, che è tipica dell’Occidente proprio la capacità di indagare e comprendere gli altri, di fare propria la “saggezza straniera”, di autocriticarsi, perché la libertà dell’Occidente anche questo consente; non ripeteremo che le civiltà non sono statiche, che ci sono salti all’indietro, che negli anni trenta quasi tutta l’Europa poteva essere considerata perduta alla causa della democrazia liberale; che chi parla di superiorità oggettive di una civiltà su un’altra non ha capito che non esiste un punto di vista esterno e oggettivo, un occhio di Dio con cui guardare il mondo al di fuori dei condizionamenti della cultura e dell’educazione, per stabilire oggettivamente chi è superiore e chi inferiore.

Ci preme invece affermare che per dei liberali il destino di nessun individuo (e neppure il destino di nessuna comunità) è organicamente definito dalle condizioni della sua nascita, e che nessun individuo ha il suo destino obbligatoriamente iscritto nella comunità di origine e nei suoi valori, neppure se si tratta di una comunità minoritaria o subalterna; e che non c’è, nella nostra cultura, spazio per determinismi assoluti (non ce n’è più, da settant’anni, neppure nella scienza contemporanea). Il liberalismo non è stato il prodotto corale e comune di tutte le società che sono oggi occidentali. Anche i paesi cattolici, e non senza buone ragioni, erano ritenuti fino a qualche decennio fa incapaci di reggersi con ordinamenti liberali. In Italia, in Germania, in Spagna, la democrazia liberale è merce di importazione. La stessa cristianità orientale ha ancor oggi difficoltà enormi a rapportarsi alla democrazia liberale. La “superiorità” della democrazia liberale non è un dato, ma un nostro giudizio consapevolmente soggettivo, una presa di posizione di fronte alla politica e alla storia. Secondo la personale propensione di ciascuno all’uso della retorica, questa presa di posizione potrà essere definita una “preferenza” oppure una “fede” politica; potrà essere razionalmente argomentata, non “dimostrata”. Come tutto quel che ha a che fare con le scelte di fondo della vita politica e civile, è alla fine materia di scelta, non di classificazione.

E tuttavia vale la pena di occuparsi del “pensiero politico” di Berlusconi sull’Occidente, perché non è solo in questione l’etica della responsabilità, cui tutti si dovrebbero adeguare, soprattutto in momenti così gravi. È necessaria in questi momenti anche una buona dose di parresìa, di franchezza non timorosa di urtare sensibilità religiose o d’altro tipo. Non vorremmo che, dopo aver convinto buona parte della sinistra che, essendo lui il Polo delle Libertà, la libertà non è un valore della sinistra, oggi Berlusconi riuscisse a convincere la sinistra che, siccome lui è per l’Occidente, la sinistra deve tornare ad essere antioccidentale. È vero che solo l’Occidente liberale ha sviluppato (sta faticosamente sviluppando da tre secoli) consapevolezza e rispetto del valore della libertà degli individui; è vero, e non possiamo, dopo Weber, ignorare che le tradizioni religiose agiscono nel profondo delle antropologie culturali e delle scale di valori socialmente accettate e diffuse; è vero che nell’Islam è storicamente difficile ed estremamente problematico il rapporto con la democrazia liberale: ma tutto può servire a modificare questo stato di cose tranne che vantare puerilmente la nostra superiorità sugli altri e suggerire che un’evoluzione liberale è agli altri irrimediabilmente preclusa. Ed è pure vero che una maggiore consapevolezza da parte degli occidentali, e soprattutto degli europei occidentali, dei valori fondanti della democrazia liberale è una priorità da perseguire. Ma non si può lasciare a questa destra, che vi è estranea, la difesa di questi valori, solo perché il suo capo ne parla a vanvera. Il liberalismo è portatore di valori universalistici, ma di fatto tutt’altro che universali. Per noi la globalizzazione è anche - se sopravvivrà agli eventi di questi giorni - un’opportunità per espandere i valori e i princìpi della libertà, dell’individualità, del libero gioco del pensiero: quello in cui consisteva il liberalismo nel pensiero di un “liberale di estrema sinistra” come John Dewey. Perché non è neppure nostro ineluttabile destino quello di essere gli unici a disprezzare i valori della civiltà nella quale ci è capitato di vivere.

La sinistra non può essere credibile a sua volta, se ogni posizione rigorosa e intransigente che assume, anche per difendere le regole della democrazia, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, le stesse regole di mercato, è sempre interpretata come una nostalgia o una ricaduta nel passato comunista. Non basta più, come molti di noi auspicavano, giovanissimi, trent’anni fa, una “presenza liberale nella sinistra italiana”, magari marginale o subalterna rispetto alle altre. Oggi è la sinistra che deve essere liberale se vuole essere credibile, oggi è necessaria una ricostruzione della sinistra sulla base della franca accettazione della nostra appartenenza a un orizzonte di civiltà che ha nel liberalismo europeo, nei suoi valori e nei suoi princìpi, i propri fondamenti. È lì che va cercato e costruito il “patriottismo della Costituzione”, non di una specifica Costituzione intesa come documento, ma come Grundnorm occidentale, come riconosciuto fondamento comune su cui si basano, ormai, senza grandi distinzioni sul piano dei princìpi, gli ordinamenti dei paesi dell’Europa liberale. Ben venga allora la società multiculturale, ma una società nella quale la laicità rigorosa delle istituzioni ne eviti la trasformazione in un’accozzaglia di comunità ostili e settarie, educate in ghetti basati su visioni esclusiviste del mondo. La sinistra oggi non ha tanto bisogno di dividersi tra radicali e moderati, tra ulivisti e partitisti, quanto di non farsi scippare un patrimonio che è anche di tutta la sinistra europea, solo perché un uomo venuto dal vuoto della cultura politica diffusa nel paese, o forse venuto dal profondo della storia italiana (come quelli che a torto Croce negli anni ’30 chiamava nuovi Hyksos), s’immagina di essere il portabandiera dell’Occidente.

La domanda di liberalismo che attraversa da anni la società italiana è ancora del tutto insoddisfatta. È per questo che proponiamo e chiediamo a tutti di sostenere il rilancio delle attività della Fondazione Critica liberale e della nostra rivista. La domanda che vogliamo porre con forza ai liberali italiani, innanzitutto a quelli di sinistra per quel che ci concerne, perché questo noi siamo, alla società civile, alla cultura, alla classe dirigente - se ve n’è una - è se non sia giunta l’ora di ricostruire, non per oggi, forse neppure per domani, ma almeno per dopodomani, le premesse perché questo paese si adegui ai parametri della civiltà politica liberale ed europea, non meno essenziali di quelli economici di Maastricht. Come i liberali del Risorgimento, noi vediamo nell’Europa occidentale il solo possibile orizzonte di senso, per quanti la vita civile e politica possa fornirne, e la sola alternativa alla fuga verso vecchi nazionalismi o peggiori ed escludenti identità etnoregionalistiche.

Chiediamo che si risponda ora a questa domanda per non ritrovarci inerti ed esclusi dalle prossime tappe della lunga, ma sempre incerta e mai garantita, marcia del liberalismo europeo verso la conquista di nuove libertà e di nuovi diritti. Abbiamo già perso molte tappe di questo percorso, e non soltanto da quando è al governo questa destra. Non vogliamo rischiare di trovarci fuori dalle prossime tappe della costruzione europea, abbandonati al disagio, all’imbarazzo, all’indignazione, e spesso al disgusto e alla vergogna che ci procurano questa classe politica e il pietoso stato presente dei costumi civili e politici degli italiani. È da questa Europa che temiamo di essere nuovamente separati, magari in modo più morbido e inavvertito di quanto già accadde decenni or sono.


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